Sto scrivendo un romanzo giallo incentrato sul contrasto a una organizzazione criminale che lucra nel mercato della moda low cost, sia con classici atti delittuosi che grazie a un complesso sistema di manipolazione delle menti dei potenziali clienti diffuso sui social con inserimento di messaggi di persuasione occulta infiltrati sotto falsa identità (di influencer), moltiplicazione di troll, falsi profili, falsi commenti.
L’efficacia di tali operazioni deriva dall’analisi dei comportamenti degli utenti e la successiva elaborazione di forme di messaggio plasmate per catturare i consensi.
Durante una delicata riunione del gruppo investigativo, il Procuratore Capo di Lucca si lascia andare a uno sfogo.
Il Dottor D’Archilana ha passato i 60 anni, fuma la pipa, non si vergogna della sua pancetta, veste un po’ all’antica, proviene da una famiglia di magistrati, come indica anche il nome Giusto, che suo padre gli impose alla nascita. Non fece mai carriera come le sue doti parevano meritare perché rifiutò di partecipare ai giochi di corrente o di legarsi a qualche potentato.
Gode di grande stima per le sue esternazioni sul costume e la società, sempre equilibrate e acute.
Nell’incontro, il pool deve decidere la strategia processuale, giacché l’organizzazione criminale è stata individuata e i suoi componenti identificati, sebbene non ancora catturati (e probabilmente fuggiti all’estero).
I Servizi segreti hanno comunicato che l’inchiesta sull’avvenuta e accertata manipolazione debba essere secretata.
I Magistrati accolgono l’ordine con imbarazzo e fastidio. Il caso ha grande rilievo, svolgere dibattimenti a porte chiuse e negare la pubblicità alla vicenda non sarà agevole.
Giusto D’Archilana inserisce nella discussione alcune considerazioni che ritenga valgano a orientare le scelte.
ESTRATTO dal Romanzo “Nero come la moda” (in corso di composizione)
(…)
«Viviamo tempi travagliati, strani e difficili. L’aspirazione alla notorietà si traduce in comportamenti individualisti che annullano la soggettività. Un ossimoro che descrive una pericolosa realtà. La voglia di essere riconosciuti sfocia nella assimilazione dentro gruppi a matrice imitativa. Si insegue l’illusione del successo scimmiottando le icone dello sport, dello spettacolo, della moda. Come falene attirate dalla luce, i giovani e tutti quelli che vorrebbero esserlo o fermare lo scorrere delle stagioni, cercano simboli e gesti che appaghino il bisogno di apparenza.
Ormai, per la maggior parte delle persone, la vita diviene frenetico inseguimento alla visibilità. Il senso di solitudine viene mitigato dall’affiliazione tribale, nell’inesausta ricerca di protagonismo sulle scene del villaggio globale, nel quale ciascuno sgomita nell’indistinta pletora dei concorrenti, sedicenti amici. Prevalgono i sentimenti di rancore e invidia, istinti violenti contro chi appare godere di una fortuna che si pensa di meritare e ci si vede negata. Questo sfocia nell’odio verso chi non può o non vuole salire sul medesimo palcoscenico del nulla, dove di rappresenta l’adesione ai modelli proposti dall’influencer di turno.
Così la popolazione è esposta all’imposizione dell’istante, che tutto risolve. Il tempo è una linea indistinta di presente, successione di attimi senza filo logico. La storia è abolita, non solo nella dimensione collettiva, ma anche a livello personale. Il futuro sembra troppo lontano per dedicarvi anche solo una frazione delle proprie risorse, tutte assorbite nell’adrenalinico lampo che accende il momento di esaltazione.
L’universo comunicante bombarda con l’inarrestabile cascata delle domande di presenza, da esaudire con l’adesione e il possesso: di oggetti, di eventi, di accessori, di frasi ripetute e rimbalzate, in una sarabanda che stordisce. Una marea montante di sollecitazioni, di realtà aumentata gonfia di desideri aumentati.
Una dinamica che spalanca lo spazio all’intrusione degli stregoni che virano la pubblicità in sofisticati imbrogli mediatici, arrivando a vette di circonvenzione che superano ogni malata fantasia di dominio. Fenomeni che non si combattono contrapponendo strepiti a urla. Neppure affermando illuministicamente il primato della ragione.
C’è un confine sottile tra convincimento e circonvenzione. Per dare verità giuridica alla realizzazione della seconda, agiremmo su capitoli penali assai labili e incerti. Se noi mandassimo a processo, sotto i riflettori dell’opinione pubblica, le azioni di persuasione occulta, non faremmo un buon servizio al Paese. Proprio chi subisce la manipolazione sarebbe pronto a negarlo, per non ammettere la propria debolezza.
I dibattimenti vedrebbero la feroce difesa degli imputati, pronti a porre l’accento sulla capacità di conquistare legittimamente il consenso delle masse, che cedono a richiami diffusi senza malizia e in buona fede. Ne verrebbe fuori una babele di polemiche, tali da confondere i profani. Finiremmo per alimentare stati d’animo che rafforzano i pericoli delle campagne malevole via web. Anziché far crescere la prudenza nell’accostamento ai messaggi delle sirene ammaliatrici, generemo un fastidioso rumore di fondo sul quale il canto ingannatore si alzerebbe ancora più forte«.
«Dove vuole arrivare, dottor D’Archilana?» Domandò il Procuratore Vettini, che paventava una ritirata, incompatibile con l’obbligatorietà dell’azione penale.
Il Procuratore mordicchiò il cannello della pipa, ne aspirò il profumo di tabacco che, sebbene spento da oltre due ore, gli mandava ancora il sentore dolce, che aveva l’effetto di rasserenarlo.
Capì che doveva sforzarsi di chiarire come una scelta di apparente viltà fosse, al contrario, un sussulto di coraggio.
«Propongo di archiviare le ipotesi di reato ideologico insite nel comportamento criminale del gruppo degli imputati».
Seguì una breve e concitata disputa.
Fu nuovamente D’Archilana a illustrare l’orizzonte di approdo dell’indagine, appoggiandosi al sostegno manifestato dal suo pari grado fiorentino Brunello Boggiardi.
«Chiedo di far prevalere le ragioni della quiete sociale su quella dell’applicazione astratta e ottusa dei Codici. Ciascuno degli imputati è colpevole di altre, più definite e gravi, fattispecie di reato. Perseguiamoli per quelle. Sono sufficienti a punirli adeguatamente.
L’AISI ci assicura che le forze dell’ordine ripristineranno la legalità, chiudendo le attività di manipolazione on line. La Polizia sta distruggendo le ramificazioni criminali sul territorio. Tutto questo, cioè la cessazione del progetto e delle attività illegali, è ancor più importante della punizione dei colpevoli.
In quest’epoca di tempeste mediatiche, spetta allo Stato di proteggere la serenità dei cittadini, la correttezza e trasparenza della comunicazione, anche contro i loro istinti e a loro insaputa. Sempre che non finisca anch’esso travolto dalla deriva di rivalsa antistituzionale che smarrisce i valori del rispetto, della democrazia, della convivenza civile.
Sta a noi amministrare la Giustizia con la saggia consapevolezza della temperie storica».
Ruotò lo sguardo sui presenti.
L’autorevolezza della sua statura morale, la profondità di pensiero che aveva mostrato, conquistarono i colleghi, in un passaggio che tutti avevano compreso come drammatico e forse paradigmatico dell’affermazione della società dell’informazione, che aveva ormai sostituito la modernità industriale e ancora non riusciva a evolvere nella società della conoscenza.
La strada era tracciata.
Il colonnello Radi, che aveva recapitato la decisione dell’AISI, sorrise al Procuratore capo di Lucca. Da freddo dirigente dei Servizi, tenne le labbra serrate e rigide. Ma era pur sempre un moto di ringraziamento per aver disinnescato un possibile conflitto tra pubblici poteri.
Il vicequestore Gabuzzi scelse di non intervenire nella discussione. Non voleva interferire nelle decisioni dei Magistrati. Lo sbocco della riunione favoriva il suo impegno nella caccia agli imputati, contenendo l’attenzione dei mass media su fenomeni tipicamente delittuosi. Rimanevano nel limbo temi che potevano indurre confusione e panico, forieri di pressioni che avrebbero finito per intorbidare e intralciare le investigazioni che lui coordinava.
Attese la conclusione dell’incontro, poi, congedandosi, si permise di sussurrare al Procuratore D’Archilana la sua soddisfazione.
«Conoscevo di fama la sua lungimiranza. Lei è uomo che non si lascia sedurre dal gusto di comparire in vetrina e va alla sostanza dei suoi doveri. Sono lieto di averla conosciuta e di vederla garantire una gestione dell’inchiesta prudente ed efficace insieme. Le sono grato per aver reso meno gravoso il mio lavoro per completare lo smantellamento dell’organizzazione criminale e la cattura dei suoi membri».
D’Archilana lo fissò, socchiudendo gli occhi, con espressione furba.
«Gabuzzi, lei è giovane e so che si muove con molta disinvoltura. Continui! Anche tra noi querce già secolari il buonsenso sa accompagnarsi alla fantasia».
Si guardarono, sorridendo.
Generazioni e mestieri diversi che si scoprivano anche più che alleati.
(…)
Se siete arrivati a legger fin qui, comprenderete come lo spunto del mio romanzo echeggi fenomeni assai attuali e che mettono a rischio i valori su cui si fonda la nostra Repubblica, nata dalla Resistenza.
Ogni allusione è voluta….
E se vi incuriosisce il romanzo nella sua complessità, rivelo che contiene la quarta inchiesta del vicequestore Diomede Gabuzzi.
La prima venne pubblicata nel 2018: un giallo anomalo dedicato alla bellezza del calcio femminile, delle coste tirreniche, del coraggio di perseguire l’essere piuttosto che l’avere.
(La Venere Spezia – Ed. Scatole Parlanti, acquistabile in libreria, su richiesta oppure on line su
https://www.ibs.it/venere-spezia-libro-giorgio-peruzio/e/9788832810912
https://www.mondadoristore.it/La-venere-Spezia-Giorgio-Peruzio/eai978883281091
https://www.lafeltrinelli.it/libri/peruzio-giorgio/venere-spezia/9788832810912
La seconda inchiesta, con il titolo L’onda del movente sarà pubblicato da Parallelo45 Edizioni, in libreria prossimamente (ottobre 2019 ?) e narra della caccia a un serial killer sullo sfondo delle meraviglie di Firenze.
La terza inchiesta è scritta e attende nel mio cassetto percorsi di pubblicazione, se troverò lettori che apprezzano il personaggio del vicequestore Gabuzzi e il mio stile letterario (Delitti e ricette, ambientato a Viareggio, dove vivo).
La quarta, come già anticipato, è in via di stesura (Nero come la moda, si svolge tra Firenze e il mondo).
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