St. Marteen è una piccola isola antillana divisa tra Olanda e Francia in base a un trattato che viene vantato come il più antico tra quelli che decisero le spartizioni delle colonie tra gli Stati europei.
Fu Colombo a scoprirla, ma gli spagnoli, per cui l’esploratore genovese conduceva le sue spedizioni, lasciarono presto l’isola, dove la maggiore ricchezza, costituita dall’industria del sale, si andava esaurendo.
Nel secolo scorso l’isola iniziò a diventare ambita meta per vacanze al sole e al mare, facendo del turismo una fiorente industria.
A dimostrare la prevalenza del turismo nordamericano, tanto nella zona olandese che in quella francese, tutti gli esercizi commerciali recano scritte e indicazioni in lingua inglese. L’orografia di St. Marteen presenta una successione di bassi monti che si alternano tra le coste. La parte olandese è ordinata e mostra costruzioni distribuite con discreta grazia lungo le colline. Al contrario, quella francese è densamente urbanizzata, con case basse e poco eleganti.
La capitale dell’area francese, Marigot, è una città che non offre particolari attrazioni, tutta proiettata intorno al porto, che si apre verso Simpson Bay, un’ampia baia fittamente popolata di imbarcazioni.
L’odierna escursione è un flop clamoroso. Si attraversa l’isola sull’unica strada centrale, intasata di traffico e soggetta a lunghe soste per consentire il transito delle maggiori imbarcazioni in uscita dalla baia che impongono l’alzata del ponte levatoio.
Unica nota di spicco è una zona collinare nella quale grandi e colorate iguane prendono il sole sui rami di bassi alberi, mimetizzandosi tra il fogliame.
Ci conducono a Marigot, senza alcun indirizzo verso luoghi significativi (ammesso ve ne siano) e con l’unico sbocco di un mercatino disordinato, con bancarelle che espongono le stesse merci (ai medesimi prezzi) che si trovano nei duty free a ridosso del molo da crociera, spacciando per artigianato ciò che è merce standardizzata per il business dei souvenir dozzinali.
La crociera nella baia altro non è che un lento giro di quaranta minuti in una distesa di barche che non colpiscono per varietà e bellezza, anche perché, se si volesse cercare l’eccellenza nautica, abbiamo in Italia cantieri e fiere che espongono natanti ben più notevoli di quelli ancorati a St. Marteen.
L’attitudine a preferire l’ostentazione della ricchezza alle meraviglie della natura, del resto, è bene simboleggiata dal vanto della spiaggia di Maho Beach, reclamizzata per l’ebrezza di vedersi volare gli aerei in atterraggio tanto vicini che sembra di toccarli: invece del piacere del canto delle onde e del profumo del mare, si preferisce il brivido del rombo dei reattori e delle scariche del gas di propulsione! Che tristezza!
Nel noioso ritorno in bus, la caduta di stile della gita si svela senza pudicizia quando l’audioguida impiega oltre la metà dell’esposizione in una insulsa propaganda delle merci di St. Marteen, dai formaggi francesi (!) alla gioielleria venduta al netto dell’imposta, perché l’isola è porto franco.
Può darsi che l’infelice escursione sia dovuta alla cattiva scelta del tour operator locale, ma l’impressione che suscita quest’isola è quella di una delle tante meraviglie caraibiche che, anziché valorizzare e coltivare la bellezza naturalistica, ahimè, l’abbia forzata, pompando il turismo e l’inurbamento oltre i limiti della salvaguardia dell’ambiente. Non solo non credo che a St. Marteen si viva come in paradiso (contrariamente alle affermazioni trionfalistiche dell’audioguida), ma anche il godimento della vacanza non raggiunge qui le vette delle altre perle di questo incantevole mare che abbiamo incontrato nella nostra lunga vacanza.









