Una nazione giovane che percorriamo nella sua parte settentrionale.
Vediamo in città un’architettura post-coloniale, priva di fronzoli, poi alberghi a cinque stelle più simili ai resort del Mar Rosso che a quelli sontuosi dei più ricchi Paesi caraibici.
Le strade sono poco curate, con frequenti tratti scabri. I dossi si susseguono, a imporre velocità moderata.
Fuori dai centri abitati, baracche sparse mostrano una povertà non dissimulata e dignitosa.
In bus, ci dirigiamo al sito Maya di Altun Ha.
Sarà una visita non entusiasmante, perché si tratta di poche piramidi in rovina intorno a una spianata che si apre nella foresta.
Anche l’illustrazione di storia e architettura non riesce a catturare l’attenzione, in un inglese veloce e urlato.
La parte migliore del viaggio è lo spettacolo della foresta, che si staglia quasi fin ai margini del mare e intorno al grande fiume. Alberi di svariata foggia e colori dolci, in mille toni di verde e di giallo. Le mie infime conoscenze botaniche non mi consentono di citare le specie vegetali, ma resto incantato dall’intreccio tra tronchi robusti e rami attorcigliati con fogliame a formare siepi o chiome tra le quali balenano i raggi del sole. La foresta è rigogliosa ma non fitta, permette di camminare sotto gli alberi e apre spazio alla vista e alla curiosità.
Secondo il racconto della guida, anche la fauna locale offre varietà di specie, selvagge come meno pericolose, ma il tour odierno non ci porta a incrociarle.
Si rientra a Belize City con un giro al mercatino del porto.
Guardando le bancarelle e i negozi abbiamo la conferma che il turismo in Belize non ha ancora raggiunto le vette che questo mare dai riflessi di smeraldo può richiamare.
La costa non ha un pescaggio sufficiente per l’attracco delle grandi navi da crociera, che restano ancorate al largo.
Le lance guizzano veloci dalle banchine ai transatlantici, con i passeggeri accalcati e ormai stanchi per le escursioni.
Il vento soffia forte, le onde danzano intorno agli scafi, mentre le nubi si gonfiano, sembrano impadronirsi del cielo e negare il dominio del sole. Ma sul mare aperto tutto cambia in un attimo e nuovamente la volta celeste si apre ai raggi della sfera rovente che gli antichi indigeni adoravano come loro Dio.
Il sole si libera e le onde si tingono di barbagli luminosi.
La visione del mare è il respiro dell’infinito.









