




Arriviamo a Napoli, Anna e io, per la prima volta.
Scesi alla stazione centrale subiamo l’effetto degli stereotipi (negativi) con cui la città viene descritta. C’è caos, la folla si assiepa sotto i tabelloni che annunciano i ritardi e si ostinano a non indicare il binario per i treni più attesi e contesi.
Già quando entriamo nella Metro, invece, non ci pare d’essere in quella città pericolosa, disordinata, sporca a cui eravamo pronti.
Code ordinate alle macchinette per i biglietti, discreta pulizia degli ambienti, persone cortesi e serene. Stona l’avviso che mette in guardia contro i borseggiatori. La Metro sembra più tranquilla e sicura di quella di altre città. Niente di paragonabile a Roma, per dire.
Sistemato il bagaglio in albergo, usciamo per una ricognizione.
Siamo stanchi e scendiamo verso il mare. Bel panorama ma nessun locale dove mangiare qualcosa e abbiamo fame.
Torniamo in zona centrale.
Splendida pasticceria, nella quale l’appetito viene soddisfatto quanto il palato goloso.
Più distesi, cominciamo a passeggiare in direzione di piazza del Plebiscito.
Napoli ci stupisce e affascina.
Le sue vie centrali, via dei Mille, via Filangieri, via Chiaia, via Toledo, sono linde, ricche di negozi di alto livello, ben tenute.
Piazza del Plebiscito è una delle più belle e suggestive d’Italia.
I passanti sono numerosi e fitti. La gran parte di essi veste con un’eleganza insieme ricercata e spontanea. La bellezza è nei lineamenti, nelle espressioni, nel portamento, nelle mise che mescolano classicità e originalità. Il lusso è appena accennato e mai volgare.
Una cura di sé assai rara da trovare e che qui è diffusa ben più che in altre celebrate località.
Questo è il primo tratto che ci ha colpiti. Inatteso e seducente.
Sebbene si cammini in una città metropolitana, le persone non mostrano fretta, non soggiacciono alla pressione competitiva che si respira a Torino o Milano. Sebbene intente nelle loro occupazioni, mostrano attenzione e interesse a ciò che accade loro intorno e sono sempre ben disposte al dialogo con gli altri.
Parlano con arguzia e propensione all’ironia.
Pare che nella città il gusto per la vita, per un protagonismo qui e ora, sia elemento distintivo.
Nei giorni successivi ci dedichiamo all’ammirazione per le bellezze artistiche che a Napoli trovano una concentrazione davvero mirabile.
Dalla Cappella di San Severo – gioiello della magnificenza scultorea e carica di simboli ricercati dalla massoneria che la ispirò – a Palazzo Zevallos, al Palazzo Reale, al Museo di Capodimonte, alla Certosa di San Martino è un susseguirsi di stupori per le meraviglie architettoniche, pittoriche, scultoree, d’arredamento.
Una visita di pochi giorni impone una severa selezione dei luoghi da privilegiare. Certamente avremo perso altre bellezze.
Le riserviamo a quando ritorneremo.
Napoli l’abbiamo amata dal primo giorno.
Certamente è una città teatrale, sia come palcoscenico sia per i suoi cittadini, attori dell’arte di vivere.
Napoli è una città da amare, rispettare, onorare. Non solo perché tutti quelli che non sono juventini (e, tutti insieme, sono ancora la maggioranza di quelli che seguono il calcio) sperano che Insigne possa sollevare le mani al cielo festeggiando uno scudetto. Non solo perché Totò, Pino Daniele, Eduardo De Filippo, Massimo Troisi e ‘O sole mio sono monumenti mondiali dell’arte. Non solo per l’incantevole paesaggio della baia sotto il profilo austero e ambiguo del Vesuvio.
Soprattutto per il suo popolo: elegante e ironico, generoso e furbo, disilluso e capace di comprendere la felicità.