Una scintilla s’accese nella memoria del vecchio rockettaro

Qualche sera addietro.
Capita che salga alla mente una strofa, o un motivo, o entrambi, di vecchie canzoni.
“Che ne sai tu di un viaggio in Inghilterra”… Non rammentavo il titolo!
Internet soccorre. Si arriva in un niente al video Youtube: “Pensieri e parole”.
Uno dei pezzi più toccanti e originali di Lucio Battisti. Quand’ero giovane per tutti Battisti rappresentava la via italiana al rock che recuperava la melodia e rapiva nelle storie sempre tristi che Mogol tesseva sulle sue note.
Fin qui nulla fuori dall’ordinario.
Finita la canzone, resta la voglia di ascoltare altra musica. La casetta è silenziosa, teniamo la TV spenta, abbiamo zittito anche la radio.
Cerchiamo altra musica.
Per coincidenza – invero strana – nell’elenco alla destra di “Pensieri e parole” Youtube propone “Killer” dei Van der Graaf Generator.
Un brivido mi traversa la schiena.
Ricordi di quando, poco più che sedicenne, stetti sulla soglia di un locale in via Le chiuse a Torino, nella sera che vi riceveva l’unica data piemontese dei Van der Graaf. Erano gli anni di rivolte giovanili. Molti vennero urlando slogan per la musica gratis. Pur frequentando allora la sinistra extraparlamentare non avevo avuto alcun preavviso della contestazione che si veniva scatenando.
Ci fu parapiglia con i pochi agenti di polizia che presidiavano l’evento.
Pigia pigia e spingi e spingi, l’ingresso del locale fu violato.
Entrai, io che avevo preacquistato il biglietto, con qualche centinaio d’altri che si erano conquistati di forza l’accesso.
La sala era più da discoteca che da concerto: un sotterrano con qualche colonna sui lati, una pista centrale, un piccolo palco appena rialzato di venti centimetri sulla pista.
Che follia collocarvi l’esibizione di una band inglese emergente!
Era una torrida sera d’estate. Soffitti bassi, sovraffollamento, scarsa aerazione.
L’umidità colava dal soffitto, mescolandosi al sudore e al respiro.
Mentre stava suonando il gruppo d’appoggio (riempitivo prima dell’arrivo delle star), l’impianto elettrico saltò.
Più nessuna amplificazione, solo soffuse luci d’emergenza.
Nella confusione crescente, verso le 11.00, i Van der Graaf Generator arrivano e prendono posto.
Ma il rock elettrico senza energia elettrica non è possibile.
A quel punto, a calmare gli animi, il leader del gruppo, Peter Hammil, imbraccia una chitarra acustica e comincia a strimpellarla.
Le note sono dapprima sommarie, poi prendono ordine e si distendono ad ammaliare.
Infine scende il silenzio e tutti ci disponiamo, premuti gli uni contro gli altri, in piedi sulla pista e fin verso gli angoli della sala, come un cerchio di ossequianti un rito.
Peter Hammil gorgoglia due colpi di tosse, a schiarirsi la gola.
Poi inizia a suonare, da solo, con i compagni che lo circondano, silenti e immobili.
L’unica luce inquadra il viso dell’artista, ne evidenzia solchi di sofferenza intorno alla bocca e sulla fronte.
Accompagnato dalla chitarra, Hammil comincia a intonare i versi di “Killer”, con una voce che – priva di qualsiasi amplificazione artificiale – sale a invadere tutto il locale.
Pare magia.
Canta quell’unico pezzo, dilatandolo tra assoli di chitarra e acuti vocali.
Ne rimaniamo tutti conquistati ed estasiati.
Non c’è più rabbia, né rincrescimento per un concerto rock fallito.
I grandi artisti sanno parlare al pubblico in ogni circostanza.
Nonostante il disastro organizzativo, nonostante la delusione di aver sentito un solo pezzo, non posso non ricordarla come una serata memorabile, che mi insegnò come il rock si nutre di comunicazione emotiva e di atmosfere, ben più che di decibel.

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