Nella dimensione digitale che ormai pervade ogni rivolo delle nostre esistenze, tanto che l’identità digitale individuale è ormai una estensione dell’identità materiale e fisica delle persone, è facile che la velocità faccia premio sull’intelligenza del divenire storico.
In una società complessa la fatica di comprendere per decidere spinge al rifugio nel semplicismo millantato per chiarificazione, nella banalizzazione che sostituisce l’approfondimento. Così la politica agisce come i capitalisti d’assalto, per i quali la scadenza dell’agire non va oltre il risultato della prossima trimestrale.
Accade di conseguenza che il presente divori il futuro nutrendosi delle nostalgie di un passato ricordato migliore di quel che davvero era stato.
Ma io non mi voglio arrendere.
Mi ostino a interrogarmi e a pensare che sia possibile costruire una visione dell’avvenire per la quale valga la pena impegnarsi, un orizzonte di progresso, la ricomposizione di uno spirito comunitario ed inclusivo, nel quale economia ed etica rispondano all’unisono nel loro cammino.
Per questo lancio un’idea. Un progetto di politica economica per restituire al nostro Paese un ruolo di leader nel mondo, per far tornare l’ago della storia verso i valori che l’Europa costruì negli ultimi secoli, superando due guerre devastanti e scacciando le ideologie totalitarie ed antidemocratiche. Nel segno della cultura, dell’equità, della bellezza.
“Stay hungry, stay foolish”[diceva Steve Jobs], che da noi deve tradursi nella pazza idea di fare della Bella Italia il talamo che fa sposi la scienza e la poesia, per rigenerare il “prodotto Italia” come insieme di storia, ambiente, innovazione. Un terreno fertile nel quale la cultura umanista riaccende la creatività geniale che crea valore in una dimensione che non sacrifica la bellezza al mercato, che alla crescita dei volumi di vendita preferisce la realizzazione della vita buona.
Un modello locale e universale, italiano ed esportabile. Un modello che fa prevalere l’essere sull’avere, che costruisce il futuro e non dilapida il presente.
Pensiamo a Renzo Piano, a Petrini, a Cuccinelli, a Farinetti, a Sorrentino, a Bolle, alla Ferrero ed alla Luxottica (ma ce ne sono tanti altri ). Prendiamo il design industriale, la Ferrari, il laniero d’eccellenza, le colline toscane, il wellness altoatesino, le terme sorgive, il nostro Mediterraneo, i monumenti, i palazzi, la pittura, la musica della nostra tradizione (e tanti altri giacimenti oggi considerati laterali o a sé stanti). Facciamone sistema, proiettiamolo nel ventunesimo secolo. Siamo l’unico Paese che concentra tutto questo in così poco spazio, in un clima e una orografia ancora amichevoli.
Servirà una politica (“alta”) per far confluire queste doti, questi atout, in un nuovo Rinascimento.
Sotto quel titolo dobbiamo immaginare, progettare e attuare la nostra nuova politica industriale. Con tutta l’ambizione che ne deriva, di fare dell’Italia il Paese della vita buona, e renderlo un modello esportabile, che rilancia e alimenta la crescita, vendendo le idee, i servizi ed i prodotti che lo rendono praticabile.
Utopia, sogno? Di sogni sono fatte le sfide più ambiziose e straordinarie, a fondare successi che sbalordiscono le menti grigie ed i conservatori.
Ci sono percorsi praticabili per realizzare il Nuovo Rinascimento.
Tutti gli altri articoli di questa sezione indicheranno spunti e progetti, le (poche per ora) realizzazioni già coerenti con questa ambizione.
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