(mostra Inferno alle Scuderie del Quirinale)


Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e conoscenza.

Sono i versi che Ulisse rivolge ai compagni nel canto XXVI dell’Inferno di Dante. Il sommo poeta, con questa esortazione, sottolinea quel che per lui è un imperativo per ciascun uomo (e donna), se non vogliono sprecare la loro vita terrena.
Senonché in letteratura, sia prosa o poesia, parlar di virtù rischia d’esser quasi stucchevole, mentre narrare del quotidiano muove spesso a noia. E allora ecco che più facile è carpire attenzione e pubblico se si favoleggia di losche faccende e ci si occupa di manigoldi e delle loro malefatte.
Altrettanto nell’arte pittorica o scultorea bisogna esser grandi maestri per rappresentare grazia e beatitudine, o semplicemente buoni artisti per metter in grafica o forme l’espressione di atti esecrabili.
Lo stesso Alighieri, nella sua Divina Commedia, coinvolge il lettore assai più nel cantico dell’Inferno che in quelli dedicati al Purgatorio e al Paradiso.
Non deve stupire, dunque, che, nel ricco calendario di manifestazioni per la ricorrenza dei settecento anni dalla morte del padre della nostra lingua, alle Scuderie del Quirinale sia stata allestita una mostra sui temi dell’Inferno dantesco, raccogliendo oltre duecento opere prestate da musei e collezioni di ogni parte del mondo.
Scelta senz’altro azzeccata, perché i curatori hanno preso spunto dalla varietà di opere ispirate al poema per allargare l’esposizione alle rappresentazioni del Male (e del peccato) nelle sue varie declinazioni: dalla guerra al male dell’anima, all’infernale sfruttamento del lavoro nel tempo. Quasi nulla, invece, descrive quel Male che oggi sfida il genere umano, la storia, le scelte della politica e dell’economia: la devastazione ambientale. Ma questo non fa che ribadire quanto sia in ritardo la consapevolezza collettiva sulla tragedia che incombe: neppure gli artisti ne stanno riuscendo ad anticipare e richiamare l’immanenza.
Tornando alla mostra, la sua capacità di colpire e inquietare la mente transita dal vigore del messaggio che tele, disegni e forme sanno esplodere contro l’indifferenza.

Si parte dall’interpretazione dei versi danteschi, con la vivida brutalità dei gironi infernali e delle pene cui sono condannati i loro ospiti: dalle legioni di Satana di sir Thomas Lawrence, all’Ugolino di Rodin, fino alla lotta dei dannati sotto gli occhi del poeta e della sua guida Virgilio di William Bouguereau, passando per altre visioni di supplizi e protagonisti.



Si passa poi a varie incarnazioni del Male, dal Faust di Scheffer al Lucifero di Franz von Stuck (che è immagine nel manifesto della mostra), alle versioni delle tentazioni di Sant’Antonio, sino all’abominevole caos per i dannati di Hyeronimus Bosch.



Infine, ciò che maggiormente dovrebbe indurre a riflessione anche chi non è sensibile a temi mistici o religiosi, la rassegna dei peccati contro l’umanità (la guerra, l’oppressione, lo sviluppo in-sostenibile) o il Male che si impadronisce dell’anima.

Per i primi cito i fumi di Pierre Paulus, ottocentesco orrore di ciminiere ancora di tremenda attualità, o il quadro di morte della porpora di Rochegrosse, evocativo nella rovente e agghiacciante visione di ciò che accade ben prima che ne incrociamo l’evidenza.

Per il secondo vale più d’ogni vana frase lo sguardo perduto, disperato e assente, della pazza di Giacomo Balla.

A racchiudere nella bellezza diabolica il fascino del maligno, mi sembra efficace la discesa agli inferi di Orfeo, di Règnault, olio nel quale lira e danze confondono l’attesa delle creature luciferine dalle fauci ancora serrate. La seduzione del peccato agguanta e trascina l’artista.
