
Non ho figli, non ho nipoti, da molto tempo ho lasciato l’insegnamento all’Università.
Quindi non ho consuetudine con i giovani e davvero non posso dire di conoscerli.
Eppure, quando, qualche settimana fa, mi inserii nel corteo degli studenti, nella prima manifestazione di Friday for Future a Viareggio, ho provato buone sensazioni, come non mi accadeva da molti anni.
Respirai lo stesso clima che avevo vissuto – allora da protagonista, ingenuo e pieno di speranze e di ardore giovanile – cinquant’anni prima, al mio primo corteo studentesco, a Torino.
Come allora, ciò che animava la scelta di far sentire collettivamente la propria voce era, insieme, il rifiuto dello stato delle cose e il desiderio di imporre una svolta: verso un mondo più giusto, più vicino al sentimento, aperto alla fantasia, alla spontaneità, alla leggerezza.
Una confusione ideale non riconducibile a precisi programmi, sebbene nell’assoluta chiarezza su quello che tutti volevano rovesciare.
Basta: alla polluzione atmosferica, alla distruzione della natura, al consumo sfrenato, al tetro dominio dell’economia astratta.
Successivamente sono venute le Sardine.
Anch’esse confusamente e gioiosamente schierate contro le negatività. Basta: alla semina dell’odio, alla violenza verbale e fisica, alla politica sguaiata e infarcita di fake news, al razzismo e all’egoismo.
Questi ragazzi, figli del ventunesimo secolo, la parte più giovane dei millenials, mostrano il candore dei figli dei fiori degli anni Sessanta, certo con meno illusioni e maggiore esperienza (filtrata dalla storia delle generazioni precedenti).
Tradizionalmente, l’ingresso dei giovani nell’arena sociale arriva con forme irruente, travalica i confini del confronto civile, scatena la naturale insofferenza verso le regole dei genitori.
Stavolta pare tutto il contrario.
Mentre la società degli adulti ribolle di rabbia e pulsioni, nelle quali il malcontento e l’inquietudine si tramutano in comportamenti tribali e nell’odio contro gli avversari (veri o presunti), i più giovani interpretano la gentilezza, la comprensione, la saggezza.
Ciò che immediatamente mi colpì, quando arrivai in piazza Mazzini e la disorganizzazione regnava sovrana, tanto da farmi supporre (erroneamente) che il corteo non potesse formarsi, fu l‘allegro stupore con il quale i ragazzi e le ragazze si incontravano e si riconoscevano.
Era tutto un domandarsi reciprocamente: anche tu qui? Per poi abbracciarsi e trovare naturale essere lì, insieme, per la Terra, per la solidarietà, per sentirsi in grado di partecipare alle scelte sul destino del mondo.
Quasi nessuno teneva china la testa sul telefono cellulare. Gli occhi cercavano gli occhi, per avere conferma di non essere soli, non aver sbagliato a scendere in piazza, per entrare tutti insieme nella Storia. Con il sorriso, l’entusiasmo, una nuova consapevolezza. L’emozione di una prima volta che non può essere vissuta per delega.
Come me e tanti miei coetanei, cinquant’anni prima.
Confermo: non conosco i giovani, non ho nessuna certezza su quel che faranno e diverranno.
Ma nei loro sguardi e nei loro gesti, titubanti e sinceri, decisi e lievi, ho visto una luce capace forse di sconfiggere le nubi che oscurano questi tempi tormentati.